CAVALIERI, Lina (Natalina)

Da “sciantosa” dei “Caffè Concerto” a cantante lirica e attrice cinematografica, Lina Cavalieri deve la sua fama anche grazie alla straordinaria bellezza e alla chiacchierata vita sentimentale e matrimoniale. Nata a Viterbo nel 1874, in una famiglia caduta in gravi condizioni economiche, si trasferisce a Roma dove, fin da bambina, contribuisce al bilancio familiare come fioraia, piegatrice di giornali e apprendista sarta. L’abitudine di cantare durante il lavoro, mette in evidenza una bellissima voce. Aiutata da Guido Molfetta, amico di famiglia, impara numerose canzonette e , a 15 anni, debutta in un teatrino di Piazza Navona. Da quel momento, la sua popolarità di canzonettista cresce, grazie alla bellissima voce, alla notevole bellezza e al forte temperamento. Per un po’ si esibisce al Teatro Orfeo per 10 lire al giorno, quindi passa al Teatro Diocleziano per 15 lire, finché approda nel regno dei “Caffè Concerto” napoletani. A 21 anni raggiunge il suo primo importante successo al “Salone Margherita“, che le serve come trampolino di lancio per l’Europa. A Parigi trionfa a “Les Folies Bergère“, con un repertorio di canzoni napoletane, accompagnata da una orchestra femminile di chitarre e mandolini. La sua bellezza, la sua grazia e il suo portamento da gran dama ne fanno un personaggio simbolo della “Belle Epoque“e, persino D’Annunzio le dedica una copia del suo romanzo “Il Piacere”, definendola la “massima testimonianza di Venere in Terra”. Grazie all’apprendistato nei “Caffè Concerto“, viene notata e scritturata, diventando in breve tempo una “Diva europea“. Dopo il matrimonio con un principe russo e un temporaneo abbandono dell’attività artistica, ritorna sulla scena e nel 1900 debutta al “San Carlo” di Napoli ne “La Boheme” di Puccini, sfondando così nel campo della lirica. Da Napoli, le si apre una carriera che la porterà nei più importanti teatri lirici d’Europa e d’America, cantando con i più prestigiosi nomi, da Enrico Caruso a Francesco Tamagno. I suoi mezzi canori come soprano lirico sono limitati, ma il pubblico e’ attratto soprattutto dalla sua bellezza ed eleganza e dalle sontuose acconciature. Nell’ambiente perbenista e puritano della lirica, la Cavalieri porta un tocco di frivolezza e sensualità nuove. Nel 1907 va a New York dove, con Caruso, interpreta l’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea e, nel 1908 la Fedora di Umberto Giordano. Nello stesso anno, sposa, in seconde nozze, il miliardario americano Chander, da cui divorzia dopo solo otto giorni. Nel 1912, sposa il tenore francese Luciano Pietro Muratore. Dal 1914 al 1920, intraprende la carriera cinematografica, girando otto film, tra cui Manon Lescaut ma, sullo schermo, non ha lo stesso carisma che emana sulle scene. Dopo aver divorziato anche dal terzo marito, sposa Giovanni Campari e, nel 1920, da l’addio definitivo alla carriera artistica dicendo: “mi ritiro dall’arte senza chiasso dopo una carriera forse troppo clamorosa“. Nel 1926, si trasferisce a Parigi dove apre un Istituto di Bellezza, che dirige fino al 1936. Dopo il rientro in Italia e durante la vecchiaia, le rimane accanto l’ultimo marito Giovanni Campari. Si stabilisce a Rieti a Villa Cappuccina, con i numerosi cimeli, collezionati durante la carriera, e passa gli ultimi anni in compagnia del suo unico figlio. Le sue memorie vengono dettate a un giornalista. Con lo scoppio della guerra, si ritira nella Villa di Fiesole, dove, nel 1944, muore in seguito a un bombardamento aereo. Secondo fonti, non sempre attendibili, circolavano numerosi aneddoti sulla sua vita sentimentale e sullo stuolo di ammiratori che l’avrebbero seguita durante la sua brillante carriera artistica, tra cui Pietro Campari, figlio di Giuseppe, il creatore del celebre aperitivo, e un duca siciliano che, sperando di conquistarla, si era offerto di farle da autista e al momento del congedo le avrebbe dichiarato: “…non pensate e non vivete… che per la vostra arte”. Lina Cavalieri ha incarnato, nella vita come nell’arte, quel prototipo di bellezza femminile tipico dell’epoca; con la sua aria trasognata, che ben si addiceva al carattere delle eroine che interpretava e con la sua grande presenza scenica unita a un tipo di recitazione forte e incisiva, è stata un’autentica espressione dei canoni dell’arte verista.

BIBLIOGRAFIA – Storia della Musica , UTET, TO 2004 – “…Donne la lavoro nell’Italia del Novecento”, Verona, 2000 - Le inedite foto presenti nel filmato appartengono ad anonima collezione privata di lastre fotografiche dei primi del 900 donate in gentile concessione a TIME

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